MARAVEE FICTION di Sabrina Zannier
“L’impossibile verisimile è da preferire al possibile non credibile”
Aristotele in Poetica
La XVII edizione del Festival Maravee – intitolata Maravee Fiction - apre 9il triennio votato alla relazione tra Visione e Visionarietà, oggettività e
soggettività, contemplando lo spazio d’azione della creatività. Perché
se la 'visione' implica l’atto di percepire con la vista, la 'visionarietà'
chiama in causa quella processualità della mente creativa che consente di vedere oltre il mero dato concreto quando si crea qualcosa che non è immediatamente percettibile o sensibile, capace di delinearsi come un mondo altro da quello reale.
Ad anticipare le prossime due edizioni del Festival, che sul sottile limite tra visione e visionarietà affronteranno due specifiche tematiche – l’oggetto funzionale e l’abito inteso come seconda pelle che comunica l’essenza identitaria – Maravee Fiction presenta il paradigma di tale binomio, che
del resto contiene il fondamento stesso dell’arte. In particolare di quella che dal 2002 il Festival ha analizzato e messo in scena valorizzandone la capacità di creare mondi altri senza abbandonare i riferimenti alla realtà socialmente condivisibile. Perché è proprio su questo sottile limite fra realtà e virtualità che s’inscena la meraviglia sottesa al “reincantamento” del mondo di cui parla il sociologo Michel Maffesoli, dal quale ho tratto il taglio critico di questo progetto, nato con la puntuale idea di analizzare l’arte e
lo spettacolo contemporanei che trattano tematiche radicate nella vita di tutti e di tutti i giorni.
Si tratta dell’arte contemplata nella citazione aristotelica che anticipa queste righe puntando l’attenzione sull’adesione immaginifica alla realtà. In antitesi a Platone, per cui l'arte è copia di una copia, per Aristotele
l'arte è una forma di conoscenza, che ricrea le cose secondo una nuova dimensione ed è superiore alla storia per il diverso modo in cui tratta i fatti: mentre la storia è vincolata al particolare, l'arte assurge all'universale, può introdurre eventi irrazionali o impossibili rendendoli verosimili. Rendendola visibile e comunicabile, l’artista porta infatti al mondo la sua singolare visione del mondo, amplificando le capacità immaginifiche di tutti coloro che la sperimentano.
Una visione che riporta alla memoria La filosofia del come se, pubblicata nel 1911 dal filosofo tedesco Hans Vaihinger (1852-1933), poi tratta come base teorica e filosofica del Finzionalismo teorizzato dallo psichiatra e psicologo austriaco Alfred Adler (1870-1937).
Vaihinger si propone di dimostrare che tutti i concetti, le categorie e i principi di cui si avvalgono il sapere comune, la scienza e la filosofia sono delle finzioni intese come idee, comprendenti elementi inconsci, che hanno la funzione di mettere l'uomo nelle condizioni di fare i conti con la realtà. La forma linguistica assunta dalle finzioni si esprime nella combinazione particellare "come se", riflettendo un'appercezione (coscienza del percepire) comparativa, un paragone in cui si sostiene la negazione della validità obbiettiva, cioè l'affermazione dell'irrealtà e, conseguentemente,
10 della validità soggettiva, dell'ammissibilità del giudizio. Ed è qui che entra in scena la poetica e la creazione dell’artista, permettendomi di applicare il pensiero del filosofo anche all’arte.
Nell'accezione comune il termine finzione è utilizzato come sinonimo di falsità, bugia e inganno, ma l'analisi etimologica di fingere, da cui deriva finzione, propone il significato di plasmare, di rappresentare una cosa sotto una forma, mettendone in luce un altro aspetto, quello positivo, per cui la finzione si configura come una modalità per dare forma alla realtà, per rappresentarla. È con questa accezione che il concetto di finzione si pone come uno dei cardini del pensiero adleriano e, prima ancora, della Filosofia del come se di Vaihinger, dalla quale ho tratto il titolo per la mostra/spettacolo al Castello di Susans.
Maravee Fiction punta sul binomio Vero/Fiction, su un “vedere oltre” teso a produrre emozione e partecipazione. Con l’attenzione alla società contemporanea – dove innanzi alla crisi della razionalità forte il concetto di finzione ha ritrovato vigore nelle accezioni positive del costruire, ideare, immaginare, accomunate dal concetto della libera creatività
– il Festival fa leva sull’etimo latino di fingere, ossia fabbricare, creare, applicato a qualsiasi tipo di narrazione creativa. Mondi di finzione, ma che al vero si appellano attraverso la verosimiglianza e che comunicano con il mondo reale sul piano fisiologico, psicologico, affettivo e morale. Il tutto declinato in quattro percorsi tematici - Tempo/Spazio/Identità
/ Comunità – che indicizzano le fondamentali vie entro le quali si dipana l’umanità tesa fra il pragmatismo dell’esistenza quotidiana e le più articolate e complesse riflessioni filosofiche.
Attraverso percorsi scenografici in cui sculture, dipinti, video e fotografie si relazionano con peformances di prosa, danza e musica, Maravee Fiction propone un intrigante viaggio nella dimensione del “vero più
vero del vero” e, per contro, nella finzione a oltranza, con nuovi mondi costruiti per via digitale, sollecitando il principio dell’immersione partecipativa e della meraviglia.
Tra ambienti votati alla sintesi e alla pulizia spaziale, dominati dall’astrazione del bianco e dalla tattilità dell’epidermide, e luoghi invasi dal tripudio cromatico di opere che ammiccano alla ricchezza barocca, si passa dalla scultura iperrealista, che presenta corpi super credibili,
o luoghi tangibili che ingannando lo sguardo fermano il tempo, alla fotografia e alla pittura che sezionano brani di realtà per virare il caos
in ordinamento geometrico-emozionale o nel tripudio dell’immaginario collettivo. Fin qui tutto vero, perché la realtà è presente, pulsa
dentro ogni opera, seppur sul binario della visionarietà. Ma quando è quest’ultima ad avere il sopravvento, allora Maravee Fiction catapulta il reale in virtuale, con video e altre sculture in cui la finzione ci trascina in mondi paralleli: tutto finto, ma l’emozione è vera!
Proseguendo il principio di una calendarizzazione articolata nel 11tempo e nello spazio, anche quest’anno il Festival propone diversi
eventi, singolarmente concepiti sulle peculiarità delle location
interessate. Tutti contraddistinti dal format che prevede dialoghi
fra artisti appartenenti ai differenti settori dell’arte visiva e dello spettacolo, finalizzati alla produzione di eventi performativi di danza, teatro e musica concepiti come messa in scena del pensiero creativo che scorre come un debordante filo rosso in opere scultoree, pittoriche, fotografiche, in installazioni e video.
Proprio in funzione di questa produzione metatestuale, rispetto ai primi anni di attività ora il Festival predilige, per alcune sedi, l’affondo nel percorso della poetica personale, individuando nel solo show di un artista visivo il testo poetico sul quale produrre lo spettacolo che vi si appella ampliandone la percezione.
In questa direzione sono state concepite le personali di Valter Adam Casotto a Lignano, di Peter Demetz a Gemona e di Enej Gala a Capodistria, che oltre ad ergersi a luoghi d’esposizione delle opere, si trasformano in teatri dell’arte scenica, in “scenografie” in cui la valenza museale sposa quella teatrale, abbattendo confini disciplinari e spaziali.
Al Castello di Susans – che continua a rappresentare il corpo centrale del Festival per la maestosità della sua architettura, articolata in tre piani di sale e saloni da trasfigurare e ri-definire per via d’arte e spettacolo – il concetto del solo show è sempre soggetto alla moltiplicazione. Nel senso che gli artisti visivi sono più di uno ma non troppi. Per eludere il criterio della collettiva dai grandi numeri, entro la quale gli spettacoli potrebbero nascere solo sul concept curatoriale, in castello gli spazi vengono suddivisi per artisti, ognuno rappresentato con un progetto, un’installazione sulla quale e per la quale nascono gli spettacoli. Non sempre e non per tutti, perché nei casi in cui le opere occupano spazi diversi, trasfigurando il castello anche sui muri delle scale o immergendolo nell’oscurità di una videoambientazione, l’unico corpo sulla scena dell’arte può essere quello dello spettatore.
Un corpo/mente al quale Maravee presta da sempre molta attenzione, offrendogli un ruolo attivo nella partecipazione di opere e spettacoli che ripudiano la distanza catapultando il concetto di palcoscenico nel registro percettivo ed esperienziale
di scenografie e ambientazioni. Dove sculture, attori, fotografie, musicisti, dipinti, video, installazioni, danzatori sono in presa diretta sul passaggio dello spettatore. Invitato a riflettere sull’arte che guarda alla vita, dopo aver sperimentato entrambe.