FOTOGRAFIA DEL TEMPO/FOTOGRAFIA NEL TEMPO

Il tutto ha inizio con una semplice domanda: come fotografare il tempo?

Pensando alla fotografia la coniugazione verbale è sempre rivolta al passato. La fotografia ci racconta ciò che è stato, ciò che è successo, ciò che siamo stati. Non esiste nel paradigma fotografico il verbo futuro, ciò che sarà, ciò che saremo.

Quindi fotografare il tempo è una fotografia del tempo HIC ET NUNC. Un adesso che è già passato con il rumore dell’otturatore.

Con questo approccio filologico ci siamo posti un obiettivo: L’osservare il tempo. Perché è verissimo sua maestà il tempo è inafferrabile, inarrestabile, ma nessuno ci impedisce di poter stare fermi, inerti, ad aspettare che passi.

Quindi in queste fotografie il soggetto non riveste un ruolo particolare, uno studio approfondito. Il soggetto è lì perché lì l’abbiamo trovato nell’attesa. Per farci capire meglio il soggetto è un buon posto dove lasciarsi passare. Invece soggetto/oggetto di questa fotografia diventa il ticchettino continuo che accompagna il silenzio, e che metaforicamente parlando rappresenterebbe il continuo calpestio del nostro amico senza presenza.

In verità non del tutto privo di presenza, perché noi che amiamo non definirci fotografi, ci accompagniamo costantemente con signora luce. Ed ecco allora che abbiamo qualcosa a cui rivolgere la nostra attenzione. Il passare del tempo si trasforma in trasformazione luminosa, un costruirsi e distruggersi di tagli di luce e ombre. Un qualsiasi punto del mondo e nel mondo che diventa bussola, orologio primitivo, meridiana, attesa, presenza del tempo visiva e non solo sonora (tic, tac, tic, tac).

A questo punto ci permettiamo di offrire alcuni piccoli spunti di riflessione al lettore che si accinge alla visione di queste fotografie. Innanzi tutto, dopo una prima visione discorsiva del ciclo fotografico, la carta che tireremmo subito fuori è quella della curiosità. Visto che è quasi chiaro il progetto del passare del tempo, sarebbe interessante chiedersi cosa è successo (parlando al passato come la fotografia) tra uno scatto e l’atro.  In quale punto del mondo siamo? Chi ha posato lì quegli oggetti? (Il fotografo, un assistente oppure chi di li è passato magari anni prima) Come ha occupato il tempo? (E’ stato lì ad ascoltare il ticchettio del tempo o ha fatto altro?) In questo passare silenzioso in un punto del mondo, ad un’ora del mondo, nell’altra ora, opposta ai poli, cosa succedeva?

E ancora. I coniugi Eames nel 1977 circa, con il loro cortometraggio “Powers of ten”, indussero a osservare come negli ambiti macro e micro si ripetono dinamiche similari. Ebbene, le luci e le ombre che silenziosamente si creano e si distruggono sono solo un esempio di una moltitudine di aspetti che si muovono intorno a noi senza che ce ne accorgiamo, piccole e singole storie che notiamo solo nel momento in cui si sono compiute. Nella realizzazione di questo lavoro la luce è stata soggetto affascinante da osservare. Allineandoci al ritmo delle luci e delle ombre e del loro trascorrere ci siamo scoperti (quasi) sincronizzati a quello che succedeva intorno a noi con la sensazione (quasi) di “scoprire” cose che ogni giorno vediamo. Ci siamo scoperti curiosi e la curiosità è poi diventata un normale approccio all’osservazione di ciò che è intorno a noi, dentro e fuori e che, essenzialmente, ripropone appunto dinamiche similari.

Emanuele Savasta

Maurizio Ciancia